Politiche ambientali sbagliate

L’Unione Europea ha dichiarato che, dopo l’elezione di Trump, assumerà la guida della “lotta ai cambiamenti climatici”.

Già questa espressione denuncia l’impostazione ideologica della politica energetica di questi anni. Una politica che ha danneggiato l’Italia fino al punto da poter essere considerata la vera causa della crisi economica. E che non ha fatto diminuire le emissioni di gas serra.

Su questo aspetto fondamentale della politica italiana ed europea l’opinione pubblica dovrebbe essere meglio informata.

L’aumento della temperatura degli ultimi decenni, il riscaldamento globale di cui tutti parlano, è un problema di cui dobbiamo preoccuparci? A dire la verità un riscaldamento moderato sarebbe per lo più vantaggioso. Infatti se la temperatura aumenta, aumenta anche l’evaporazione degli oceani e quindi la piovosità. E piogge più abbondanti e temperature più alte, insieme a un più alto tasso di anidride carbonica, hanno l’effetto positivo di accelerare la crescita delle piante. Ma se la temperatura dovesse aumentare per altri 100 o 200 anni, le conseguenze sarebbero negative e forse devastanti.

L’IPCC (Intergovernmental Panel of Climate Change), l’ente dell’ONU che studia il clima, sta cercando di capirci qualcosa. Raccoglie dati da ogni parte del mondo e ha costruito un complesso modello matematico per tentare delle previsioni su quello che potrà accadere in futuro. Questo però è un compito arduo, perché il sistema atmosferico, così come quello dei mari e degli oceani, è in larga misura caotico e imprevedibile. Inoltre i fattori che possono influire sul clima, sia antropici che naturali, sono molteplici e per lo più poco conosciuti. Tra le attività antropiche, oltre alle emissioni di anidride carbonica, ci sono le attività agricole, i disboscamenti e la bonifica di paludi che possono modificare l’albedo del suolo e quindi la quantità di radiazione solare assorbita o riflessa. Può influire sul clima anche l’inquinamento di gas e polveri che, a seconda dei casi, potrebbe avere un effetto riscaldante o raffreddante.

E poi ci sono le possibili cause naturali, in particolare la diversa intensità della radiazione solare e le eruzioni vulcaniche, che emettono gas, polveri e anidride carbonica. Nessuno però è in grado di dire se l’attività vulcanica degli ultimi secoli sia nella media, sopra la media o sotto la media, tanto più se si tiene conto del fatto che l’80% dei vulcani sono sottomarini. E per quanto riguarda il Sole, i satelliti che lo studiano hanno misurato finora solo delle piccole variazioni della sua attività. Ma è probabile che nei tempi lunghi queste variazioni siano molto più ampie. Un indizio è che durante il minimo di Maunder, che bizzarramente più o meno coincide con il lungo regno del Re Sole (1643 – 1715), le macchie solari e le aurore boreali erano quasi scomparse. Inoltre durante le eclissi solari gli astronomi europei e cinesi, invece di una brillante corona, vedevano solo un tenue alone luminoso, chiari segni di una diminuita attività solare. Durante questo periodo il clima aveva raggiunto punte di grande freddo. In inverno il Tamigi ghiacciava al punto che ci passavano sopra le carrozze e vi si tenevano i mercati. Qualche volta era ghiacciata anche l’acqua della laguna di Venezia.

Quello che si può dire con certezza è che il clima è sempre stato mutevole, e sicuramente per cause naturali. Le carote di ghiaccio prelevate in Antartide si spingono indietro nel tempo fin quasi a un milione di anni, e permettono di ricostruire l’andamento della temperatura in questo arco di tempo. Dal grafico che se ne ricava emergono prima di tutto i grandi cicli delle glaciazioni della durata di 100.000 anni, con sbalzi di 7 o 8 gradi. Ma anche all’interno di questi cicli il clima è sempre stato mutevole. E dato che nella vicina e lontana preistoria le attività umane non potevano influenzarlo, questi continui cambiamenti non potevano che essere dovuti a cause naturali. E il principale indiziato è il Sole. Ed è ragionevole aspettarsi che stesse le cause naturali che hanno sempre modificato il clima siano all’opera ancora oggi.

Però su tutte queste possibili cause, naturali o antropiche, gli scienziati non possono dire molto. I soli dati di cui dispongono sono la temperatura globale e il tasso di anidride carbonica. Ma persino il ruolo di questo gas è tutt’altro che chiaro. Infatti esso non è solo un gas serra, ma anche il principale fattore di crescita delle piante, e come tale potrebbe influire sul clima in maniera indiretta. Infatti quando aumenta l’anidride carbonica le piante crescono più in fretta, perché aumenta la velocità della reazione clorofilliana. E la reazione clorofilliana si alimenta dal punto di vista energetico con l’energia radiante del sole, una quota maggiore della quale viene assorbita dalle foglie e sottratta all’effetto riscaldante. Infatti è esperienza comune che in estate, dove c’è più vegetazione, la temperatura è più fresca. D’altra parte una crescita vegetativa più veloce ha anche molte altre conseguenze difficili da quantificare. Pertanto l’unico dato certo è l’effetto riscaldante dell’anidride carbonica dovuto alla sua natura di gas serra.

In più c’è il trend in crescita della temperatura globale e del tasso di anidride carbonica, e molti scienziati pensano che questa non sia una coincidenza. In ogni caso, la sola possibilità che le nostre emissioni possano modificare il clima è motivo sufficiente per cercare di diminuirle. Per questo l’IPCC considera di fatto l’anidride carbonica la sola causa del recente riscaldamento del clima. E ha previsto che dal 1990 al 2100 la temperatura possa aumentare da 1 a 6 gradi centigradi come conseguenza dell’aumento della CO2 atmosferica, la cui quantità dipende dal volume dell’economia. Perché, questo è il ragionamento, se l’economia cresce, cresce il consumo di energia. E se cresce il consumo di energia, allora crescono anche il consumo dei combustibili fossili, le emissioni di anidride carbonica e la temperatura globale. In altre parole la temperatura prevista per la fine del secolo, secondo l’IPCC, dipende dal volume dell’economia globale, che a sua volta è previsto che possa aumentare da 4 a 18 volte.

Questo legame tra la crescita economica e gli immaginati disastri del riscaldamento globale è stato subito cavalcato dai molti nemici della società moderna. Però, mentre il rapporto tra temperatura e anidride carbonica può essere accettato in mancanza di dati migliori, il collegamento automatico tra crescita economica e emissioni di CO2 è in gran parte smentito dalla storia recente dei paesi più sviluppati. Inoltre le previsioni di crescita economica più alte sono giudicate poco realistiche dagli economisti. Conviene allora partire dalla previsione media, secondo la quale nell’anno 2100 il volume dell’economia globale sarà aumentato di 9,5 volte e la temperatura sarà cresciuta di tre gradi rispetto al 1990. Una simile crescita spazzerebbe via la povertà dalla faccia della Terra, per cui è importante chiedersi se è proprio necessario impedirla per evitare un pericoloso cambiamento del clima. Ma la risposta per fortuna è un chiaro no, perché non è affatto vero che la crescita economica provocherà un aumento parallelo e senza limiti delle emissioni di anidride carbonica.

La storia recente dei paesi più sviluppati dimostra invece che, dopo la fase di crescita che porta dalla povertà al benessere (nella quale aumentano la produzione dei beni materiali e i consumi di energia), i mercati dei beni materiali vengono saturati e, a seconda dei casi, si stabilizzano o si assestano su livelli più bassi. A crescere sono invece i servizi che però comportano un consumo molto minore di materie prime, energia e territorio (vedi la 2° parte dell’articolo “Lo sviluppo …”).  Inoltre anche la popolazione smette di crescere e di conseguenza tutti i parametri ambientali cominciano a migliorare. E a dimostrarlo c’è la situazione dei paesi più sviluppati che sono oggi, da ogni punto di vista, più sostenibili di 20 o 50 anni fa (*) (la popolazione è in calo, la superficie dei boschi è molto aumentata, la fauna selvatica è tornata, il livello dei principali inquinanti è crollato, il consumo delle principali materie prime è diminuito e solo i consumi di energia dopo il 1980 hanno continuato a crescere sia pure a ritmo più che dimezzato. Nonostante questo però anche le emissioni di anidride carbonica sono per lo più diminuite a causa del diverso mix dei combustibili fossili). Per esempio in Italia dal 1990 ad oggi i consumi di energia sono aumentati del 41 % – prima di tutto per effetto dell’aumento di dimensione delle automobili – ma le emissioni di anidride carbonica sono diminuite del 16% a causa dello spostamento di molti consumi dal carbone e dal petrolio verso il metano. E il bilancio sarebbe ancora migliore se si tenesse conto del raddoppio della superficie forestale avvenuto nel dopoguerra.

In questo momento però sono i paesi emergenti, con la loro crescita sostenuta, a far salire il tasso di anidride carbonica globale. Essi però stanno percorrendo la stessa strada di quelli più sviluppati con solo qualche decennio di ritardo. E se saranno lasciati crescere, ben presto arriveranno anche loro al punto in cui la produzione dei beni materiali si stabilizza o comincia a diminuire, e questo fattore da solo è sufficiente a dimezzare la previsione di aumento della temperatura per la fine del secolo. Inoltre anche gli emergenti potrebbero cambiare il mix dei combustibili fossili. Paesi come la Cina e l’India hanno costruito negli ultimi anni centinaia di centrali a carbone basate su una tecnologia obsoleta e di bassa efficienza. Se sfruttassero i loro grandi giacimenti di shale gas, e se sostituissero le loro centrali a carbone con centrali a turbogas, l’efficienza triplicherebbe. Avrebbero bisogno cioè solo di un terzo del combustibile, azzererebbero l’inquinamento e diminuirebbero le emissioni di anidride carbonica di quasi il 90%. Molti però condannano lo shale gas (contenuto in rocce argillose e impermeabili) perché la sua estrazione ha un impatto ambientale maggiore. Niente però rispetto all’estrazione del carbone nelle grandi miniere a cielo aperto, che lasciano ferite nel territorio che rimarranno per migliaia di anni. E una volta che il gas naturale è stato estratto, ci sono solo dei vantaggi: è un combustibile pulito, a parità di calorie produce il 60% in meno di anidride carbonica e ne serve solo un terzo per produrre la stessa quantità di energia elettrica.

Naturalmente dovrebbero abbandonare il carbone anche paesi come gli Stati Uniti, l’Inghilterra o la Germania, che ne fanno grande uso. Anzi, dovrebbero farlo per primi anche per dare il buon esempio e spingere gli altri paesi a fare altrettanto. E dato che di gas ne serve molto meno, per loro circa la metà, l’operazione dovrebbe essere conveniente anche dal punto di vista economico. Se questo scenario da Ecofantascienza si avverasse, le emissioni globali di anidride carbonica subirebbero un crollo, e un crollo tale da invalidare ogni previsione di aumento della temperatura per la fine del secolo.

Quindi la soluzione non è fermare la crescita economica, ma sostenere la crescita dei paesi emergenti, e poi sostituire dovunque il carbone e il petrolio con il metano. Con questa politica avremmo risolto l’unico vero problema sociale che è la povertà, e stabilizzato le emissioni di anidride carbonica. Purtroppo invece il collegamento creato dall’IPCC tra crescita economica e disastri ambientali ha convinto molti che sia necessaria la decrescita, e ad usare l’argomento del clima per giustificare delle misure inefficaci e costose che hanno il solo scopo di penalizzare l’economia. E lo strumento di questa politica punitiva è il protocollo di Kyoto. Le sue finte soluzioni sono le energie alternative o rinnovabili: eolico, fotovoltaico e da biomassa, talmente inefficaci che non potranno mai sostituire le attuali centrali elettriche. Ad esse si può aggiungere un’altra costosissima non soluzione, l’auto a idrogeno, che per motivi fisici insuperabili non potrà mai diventare realtà (vedi “La costosa follia delle energie alternative”).

L’energia elettrica deve essere prodotta nel momento stesso in cui viene consumata. L’energia eolica e fotovoltaica invece viene prodotta  in maniera casuale, discontinua e imprevedibile. E dato che non c’è il modo di conservarla, la sua utilità è quasi nulla. In realtà le rinnovabili sono addirittura controproducenti, perché il valore economico dei watt prodotti e realmente utilizzabili, è troppo basso rispetto al costo degli impianti. Infatti per produrre i capitali necessari a pagarli, l’economia ha dovuto girare, e quando l’economia gira consuma sempre una certa quantità di energia. E questa energia è sempre molto maggiore dell’energia eolica e fotovoltaica utilizzabile. Inoltre il concetto stesso di energia rinnovabile è ingannevole. Perché se è vero che l’energia del Sole e del vento è di fatto illimitata, per captarla è necessario impegnare grandi estensioni di territorio. Però è proprio il territorio la nostra risorsa ambientale più limitata e preziosa.

Pensiamo all’Italia. L’Italia ha puntato più di qualsiasi altro paese sulle rinnovabili. Ha speso forse 200 miliardi di Euro (**) per riempire il Centro Sud di pale eoliche, devastando il paesaggio compresi siti archeologici importanti come quello di Agrigento. Praticamente in cambio di nulla. Ma questo è solo un lato della medaglia. Perché il nostro Paese ha condotto anche una vera e propria guerra a quella che è, prima della fusione fredda, la soluzione migliore che abbiamo, cioè il gas naturale (che è costituito quasi interamente da metano).

Il motivo di tanta opposizione è che il gas naturale è un combustibile fossile che produce anidride carbonica, al contrario delle rinnovabili e dell’idrogeno. Ma le rinnovabili non sono la soluzione. E per quanto riguarda l’idrogeno, questo gas non è una nuova fonte di energia. Esso viene prodotto a partire dal metano ad un costo quattro volte superiore e con una perdita energetica del 50%. Inoltre è il materiale meno adatto per immagazzinare energia, e specialmente a bordo di un’auto. Però, escluso l’idrogeno, la cosa che più gli si avvicina è proprio il metano. La molecola del metano contiene un atomo di carbonio e quattro di idrogeno, cioè è fatta quasi solo di idrogeno. In più il metano è abbondante, economico e pulito, e alimenta le centrali a turbogas che sono ad alto rendimento. Eppure in Italia è stata bloccata per vent’anni la ricerca e la messa in produzione di giacimenti di gas naturale. Inoltre è stata impedita, tranne in un caso, la costruzione dei rigassificatori, necessari per importare il gas dai paesi che non possono essere collegati con i metanodotti. Infine, dovunque fosse stato proposto di costruire una centrale a turbogas, sono arrivati degli attivisti per convincere la popolazione ad opporsi, qui per un motivo lì per un altro. La maggior parte sono state ugualmente costruite tanto erano convenienti, ma alcune no, e altre sono state ritardate. Così quando qualche fa sono esplosi i prezzi del petrolio, ci siamo trovati totalmente dipendenti dalle importazioni e ne abbiamo subito in pieno gli effetti. Ed è stato proprio questo il fattore scatenante della crisi.

Purtroppo questa è ancora la politica dell’Italia e dell’Europa. Il governo italiano ha appena deciso di spendere altri 10 miliardi di Euro nelle rinnovabili, e l’Europa ha imposto all’Italia di ridurre di un terzo le sue emissioni di anidride carbonica entro il 2030. Ora, qualcosa potremmo ancora fare, ma non più di tanto, perché abbiamo già i consumi energetici pro capite più bassi d’Europa. Potremmo usare l’acqua di raffreddamento delle centrali per scaldare case e uffici, oppure potremmo estendere a tutto il paese la rete dei distributori di metano. Ma anche se moltiplicassimo per dieci le pale eoliche, non riusciremmo a sostituire una sola centrala elettrica. Eppure è questa la politica che ci vuole imporre l’Europa!

La vera ragione di questa politica, costosa e inefficace proprio nel perseguire lo scopo che si propone, è il pregiudizio contro la società moderna. Fin dall’inizio dell’era industriale molti intellettuali hanno condannato la società moderna, le sue fabbriche, le nuove tecnologie e i cambiamenti sociali che si portavano dietro. Da lì è nato il marxismo. E ancora oggi, nonostante che la media mondiale della speranza di vita sia passata da 24 a 70 anni (***) e che la disponibilità di beni e servizi pro capite sia aumentata di più di 10 volte, essi accusano la società in cui viviamo di essere la causa di tutte le ingiustizie sociali. In realtà l’unica vera ingiustizia sociale è la povertà, la povertà abissale di tutte le altre epoche, e la società moderna è l’unica nella Storia che è riuscita a debellarla, almeno in grandissima misura. Ma in questo momento i nemici della società moderna hanno un’altra freccia al loro arco, l’ambiente, e sostengono che la decrescita sarebbe necessaria per salvare la natura. Ma non si rendono conto che nelle economie mature la decrescita che conta ai fini ambientali c’è già, e anche da parecchio tempo. In Italia è dal 1980 che, mese dopo mese, anno dopo anno, gli addetti al settore industria non fanno che diminuire, insieme ai volumi produttivi. Ma la stessa cosa accadrà anche ai paesi emergenti molti dei quali, per esempio la Cina, sono già arrivati o stanno arrivando al momento in cui i mercati dei beni materiali vengono saturati e non possono più crescere.

Una volta tutti pensavano che la Terra fosse al centro del mondo, e che il Sole, le stelle e i pianeti le girassero intorno. Adesso possiamo sorridere di queste idee. Eppure qualche secolo fa questo era un pregiudizio molto radicato e che suscitava una forte opposizione. A causa di questo pregiudizio Galileo Galilei fu costretto a ritrattare le sue teorie scientifiche per non finire sul rogo come Giordano Bruno. Per chi ha la pazienza di leggerli ci sono questi scritti di 400 anni fa che espongono gli argomenti a sostegno della convinzione che la Terra sia al centro dell’universo (per esempio “Se la terra si muova”).

Oggi c’è un altro fortissimo pregiudizio, quello contro la società moderna, che impedisce che vengano adottate delle politiche efficaci per i principali problemi del nostro tempo, che sono quelli della povertà – ce n’è ancora molta – e dell’ambiente. Un pregiudizio responsabile di una politica degli aiuti ai paesi poveri che non ha mai davvero promosso lo sviluppo, e che spesso anzi lo ha ostacolato, proprio perché alla crescita economica viene attribuito un valore negativo. E per quanto riguarda l’Italia, il paese che aveva il più grosso partito comunista dell’Occidente e i maggiori finanziamenti dall’Unione Sovietica a sostegno della sua propaganda, sono decenni che viene portata avanti una politica contraria allo sviluppo. Per combattere “la società capitalista” non è più necessario sterminare milioni di persone come faceva Stalin. E’ sufficiente gestire la normale amministrazione e usare la propaganda per trasformarla in buon governo, e poi lasciare irrisolti i problemi più importanti e strategici. Impedire la riforma istituzionale necessaria per rendere elettiva la carica di Capo del governo, per sconfiggere il partitismo e dare finalmente all’Italia una democrazia compiuta. Riempire le città di disperati provenienti da ogni parte del mondo per ricreare le disparità sociali che avevamo da poco superato, allo scopo di dimostrare quanto sia ingiusta la società moderna. Infine lasciare irrisolto il problema dell’energia.

I pregiudizi sono duri a morire, ma è necessario rendersi conto che la società moderna, matura e terziarizzata, è l’unica sostenibile sia sul piano sociale che ambientale. Solo così potremo abbandonare la politica fallimentare del protocollo di Kyoto, e promuovere davvero lo sviluppo e la sostenibilità.

 

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